KABBALAH E IL POTERE DEL SOGNARE di Catherine Shainberg

22,00

Autrice: Catherine Shainberg
Formato: Libro.15 x 23
Pubblicato: marzo 2016
Pagine: 220
Prezzo: € 22,00

Categoria:

Descrizione

Kabbalah e il potere del sognarecome risvegliarsi a una vita visionaria di Catherine Shainberg è una guida magnifica per riportare l’anima nel corpo e per seguire il sentiero del cuore. Catherine Shainberg è una maestra spirituale di grande acume che ci ricorda che sognare non è ciò che si fa durante il sonno, ma il risveglio a una vita più profonda, ricordando e seguendo il nostro scopo divino; ci insegna ad attingere all’energia della Fonte — attraverso le immagini che comunicano con il corpo e sono in grado di guarirlo — e ci spiega come essere presenti nel luogo della creazione. Il suo libro contiene una vasta gamma di esercizi pratici per trasformare la paura e la rabbia in energia centrata nel cuore, in modo da liberarci dai riti dell’abitudine e sanare la ferita tra la Terra e il Cielo. Vi consiglio caldamente di leggere questo libro.
Robert Moss, autore di Storia segreta dei sogni e Il ragazzo che tornò dall’aldilà

  • Una spiegazione dinamica della potente, antica tradizione sefardita del sognare la cui paternità risale al rinomato cabalista del XIII secolo, Isacco il Cieco.
  • Include esercizi e pratiche che consentono di accedere allo stato di sogno per sperimentare la vita in uno stato di potenziata consapevolezza.
  • Scritto dall’allieva dell’onorata cabalista Colette Aboulker-Muscat.

Nel libro Kabblah e il potere del sognare Catherine Shainberg svela antiche pratiche esoteriche – utilizzate nel corso dei secoli da profeti, veggenti e saggi per pilotare i sogni e le visioni – che ci permettono di sbloccare i poteri intuitivi e trasformativi della mente onirica.

Per insegnarci come adoperare al meglio il potere intuitivo dei nostri sogni, Shainberg ci accompagna gradualmente, con chiarezza, acume e bellezza, attingendo alla psicologia moderna, alla poesia e alle narrazioni e mitologie dell’area del Mediterraneo, ma soprattutto all’antica tradizione cabalistica sefardita del sognare, la cui origine si fa risalire al rinomato cabalista del XIII secolo, Isacco il Cieco. Shainberg ha trascorso molti anni lavorando con l’ultima discendente di questa stirpe, Madame Colette Aboulker-Muscat, che ha aggiornato gli antichi metodi, adattandoli alle esigenze di una società moderna e globale.

In linea con quello della sua insegnante, anche il lavoro di Catherine Shainberg è sperimentale. Alcuni esercizi si basano sui testi, ma, a differenza di altri metodi cabalistici, questa metodologia non comporta lo studio e l’analisi del testo o lo studio della permutazione delle lettere (tecnica nota come gematria). Il lavoro è pura Kabbalah (kabbalah significa “ricevere”), nel senso che la persona “riceve” dalla propria osservazione interiore.

Benché la Bibbia ebraica e la tradizione esoterica occidentale offrano ampie prove dell’esistenza di insegnamenti tratti dai sogni, il percorso per diventare un sognatore consapevole viene raramente descritto in maniera articolata. Shainberg ci mostra che il sognare non è soltanto qualcosa che accade mentre dormiamo – il sogno non smette mai di fluire. Attraverso il suo metodo la mente cosciente acquisisce la capacità di mantenersi sveglia nel sogno, durante il sonno, e la mente che sogna impara a restare lucida e consapevole nello stato di veglia. In questo modo si raggiunge uno stato di coscienza rivoluzionario. Gli esercizi di visione interiore messi a punto da Catherine Shainberg danno vita e mettono in moto immagini creative e trasformative, che a loro volta generano percorsi di auto-realizzazione.

 

Estratto dal libro

KABBALAH E IL POTERE DEL SOGNARE – Come risvegliarsi a una vita visionaria:

Prologo

“Io dormo, ma il mio cuore veglia”.
CANTICO DEI CANTICI 5:2

Sono stata una sognatrice per tutta la mia vita. Da bambina, quando sentivo la musica, vedevo immagini in technicolor. Vivevo con le fate e gli angeli. Entravo nei sogni degli altri. “Vedevo” queste persone e le aiutavo nel mio sogno. La mia mamma diceva che mi stavo perdendo nei sogni. Voleva che fossi concreta. Io pensavo di esserlo.
Per esempio, sapevo che il sogno non era un’alternativa accettabile ai compiti di scuola. Allora il mio sistema consisteva nell’ascoltare con un orecchio e immaginare che ciò che il maestro diceva si infilasse in una tasca della mia mente, come nel secondo stomaco di un cammello. Avevo imparato che, visualizzando quella tasca, più tardi, durante un’interrogazione, avrei potuto attingere a quelle informazioni.
Nel frattempo, la mia vita reale scorreva in un altro mondo. Seduta al mio banco, in classe, lasciavo il mio sguardo salire fino a un angolo del soffitto e continuavo a sognare tutto il giorno e non c’era nessuno più saggio di me. Da giovane, quando pensavo di andare all’università, non riuscivo a immaginare alcuna materia altrettanto interessante quanto le belle immagini e i suoni che trovavo nei miei sogni. Poi, crescendo, le belle immagini e la musica dei mondi interiori che appartengono agli artisti divennero molto reali per me. Decisi di studiare arte.

 * * *

Parigi è piena di chiese, palazzi, giardini, statue e fontane. Ad ogni angolo c’è qualcosa con cui riempirsi gli occhi. Da studentessa d’arte girovagavo al Louvre per guardare i quadri. Spesso, dopo aver studiato un dipinto, dovevo andare a casa per calmarmi. Sentivo tutto in maniera molto intensa.
Mi domandavo perché alcuni colori e forme mi emozionavano mentre altri mi lasciavano indifferente. Circondata da tante delizie e possibilità visi-ve, ho iniziato a giocare con le forme e i colori.
Mi divertivo a coprire un elemento all’interno di un quadro, ad esempio un limone in un dipinto di Matisse e tutto si spegneva nel quadro. Oppure guardavo una fotografia di La parabola dei ciechi di Bruegel, stampata al contrario e i ciechi nel dipinto, invece di cadere inevitabilmente verso destra, come nel quadro originale, erano girati verso sinistra e si trovavano a fissare in modo buffo e imbarazzante un buco nel terreno – l’effetto era completamente diverso.
Volevo sapere se esistevano delle leggi che descrivessero il modo in cui la forma, il colore e la direzione influiscono sulle nostre emozioni. Mi rendevo conto che certi colori che apparivano nei sogni mi spaventavano, mentre gli altri mi rendevano molto felice.
Sentivo che ogni volta che entravo a Notre Dame, la cattedrale gotica che si erge sulla Senna, il mio corpo sembrava più leggero e diventava più alto e sereno. Se, senza che io lo sapessi, c’era un dipinto di Cézanne alle mie spalle, ad un certo punto iniziavo a sentire un formicolio sulla schiena. Ero in grado di riconoscere il pittore senza dovermi girare.
Gli altri erano altrettanto sensibili? Erano forse altrettanto sensibili senza saperlo? Sapevo che le persone dicevano di sentirsi bene in alcuni luoghi, mentre altrove si sentivano oppressi. Dove potevo trovare altre informazioni su questo tipo di esperienze? E che cosa ne avrei fatto di queste conoscenze dopo averle acquisite?
Volevo scrivere la mia tesi di dottorato su questo tema, ma i miei professori erano piuttosto indifferenti e volevano indirizzarmi verso argomenti più concreti. Abbandonai tutto.
Immaginatevi un sognatore da solo a Parigi, senza lavoro, senza scopo. Che cosa fa? Ebbene, sogna. Sognavo e i sogni mi dicevano che cosa fare. Tuttavia, queste indicazioni che ricevevo avevano un prezzo che mi ritrovai a pagare in termini di dolore psicologico, poiché non avevo ancora imparato a fidarmi completamente dei miei sogni. Di conseguenza, non ero in grado di fare ciò che mi veniva suggerito di fare, senza sperimentare tanta ansia e timore per il mio futuro.
Dover affrontare ogni giorno in uno stato d’incertezza rispetto alle decisioni fondamentali della vita è difficile persino quando siamo dei sognatori realizzati. Iniziai a lavorare per una casa editrice e lì incontrai un giovane ebreo dell’Africa del Nord.
Ascoltavo le sue idee, incontravo i suoi amici – erano tutti ebrei dell’area del Mediterraneo – e parlavo con loro. Ero sconvolta dalla fluidità del loro pensiero, dalla forza della loro immaginazione e dalla loro gentilezza. Volevo immergermi nel loro mondo. Andai in Egitto; vi tornai quattro volte e poi visitai il Libano, la Siria e la Giordania. Non mi bastava mai. In questi Paesi mi sentivo a casa.
Provengo da un’antica famiglia aristocratica francese della Dordogna. All’epoca, una delle mie spiegazioni per questa passione per il Medio Oriente era che si fosse risvegliato in me un qualche gene fino ad allora sopito di uno dei miei antenati che aveva preso parte alle crociate.
Poi, altre circostanze, oltre al sognare, mi portarono al mio successivo spostamento, in Israele. Andai in un kibbutz, nel deserto. Beh, veramente non sapevo che cosa stessi facendo! Invece di frequentare un’università dell’Ivy League negli Stati Uniti, dove mi era stata offerta una borsa di studio, stavo raccogliendo frutta nel Negev.
Non avevo una professione, ero senza soldi e senza prospettive e non parlavo l’ebraico. Rimasi lì per due anni. Furono i peggiori anni della mia vita. I sogni cessarono. Ero nel buio, disperata e senza amici. Il ritorno a casa era fuori discussione. Vivevo in solitudine.
Nel kibbutz c’era un gruppo di giovani ebrei francesi. Uno Shabbat vennero a trovarli alcuni amici da Gerusalemme. Nonostante la mia solita scontentezza, sentirli parlare in francese funzionò da calamita e mi ritrovai accanto a loro sul prato.
Chiesi a un uomo di nome Eli come fosse la comunità francese a Gerusalemme. Mi disse che girava intorno a una donna di nome Colette. Al suono di questo nome, C O L E T T E, la mia mente esplose e si trasformò in una luce bianca. Vidi un’enorme stella brillare e sapevo, sentii fortemente, al di là di ogni dubbio, di dover incontrare questa signora.
Non sapevo nulla di lei ed Eli non sapeva dirmi altro, se non di averla incontrata una volta. Dal momento in cui il suo nome fu pronunciato, io ripresi a sognare. Mi annotai il numero di telefono di Eli e alla prima occasione andai a Gerusalemme.
In effetti, nulla è facile, poiché veniamo messi alla prova lungo l’intero percorso. Eli non si presentò all’appuntamento. Tornai a Gerusalemme per ben sei volte, nel frattempo ci fu la guerra dello Yom Kippur, ma Eli continuò a non volermi portare da lei. Ci misi tanto a capire che temeva che, una volta arrivati da Colette, lei ci avrebbe ignorati entrambi.
Nel frattempo, il mio desiderio di incontrarla cresceva. Con pochi soldi in tasca, lasciai il kibbutz e mi trasferii a Gerusalemme. A quel punto, Eli non aveva più scelta. Doveva accettare il fatto che ero una ragazza strana e un po’ esagerata, che voleva a tutti i costi essere presentata a questa donna carismatica e che quello che pensava lui aveva poca importanza. Alla fine mi portò da Colette.

La strada era molto tranquilla. I glicini e le buganvillee fiorivano ovunque. L’entrata di casa sua era in parte nascosta da rose selvatiche e gelsomini. Il portone era blu. Gli scalini scendevano nel giardino. La porta era socchiusa.
Ci trovammo nella semioscurità ed uno specchio alto accolse i nostri riflessi. Entrammo in un piccolo salone pieno di cuscini e tappeti orientali, con un meraviglioso candelabro arabo di rame che pendeva dal soffitto.
Una voce ci invitò ad entrare nella stanza che era la stanza da letto di Colette, anche se assomigliava di più al salotto di una regina. Colette era distesa sul letto, adagiata su altri cuscini. La stanza era decorata con un rivestimento algerino a pannelli di legno del sedicesimo secolo che avrebbero meritato di essere esposti in un museo. Ci fece cenno di accomodarci sulle sedie accanto al suo letto. Mi chiese: “Che cosa vuoi?”.
Senza battere ciglio, la voce del mio sogno parlò: “Insegnami come le immagini muovono le persone!”.
Colette rise: “Ti stavo aspettando da tanto tempo!”.

Chi era Colette? Non mi ero nemmeno presa la briga di chiederlo; mi sembrava di conoscerla da sempre. Durante il nostro primo incontro nemmeno lei sembrava molto interessata alla mia storia, quanto piuttosto alle immagini che riuscivo a vedere con l’occhio della mente: “Chiudi gli occhi, espira lentamente tre volte, immagina … e poi dimmi quello che vedi”.
Capii in seguito che le mie immagini rivelavano tutto ciò che le interessava sapere di me e del percorso che la mia vita stava seguendo. Le mie immagini rappresentavano una mappa, un libro che lei era in grado di leggere per guidarmi. I suoi commenti erano per me un sostegno importante. Mi sentivo a mio agio, per cui mi lasciavo guidare da ciò che “vedevo”. Era iniziata una grande avventura e questa ricerca di me stessa stava per portarmi più lontano di quanto avrei mai pensato che fosse possibile, persino all’esplorazione di strutture e concetti universali.
Colette mi vietò di fare domande e di leggere qualsiasi testo che avesse a che fare con le immagini, i sogni o i miti. Le immagini stimolate dalla lettura avrebbero potuto mescolarsi e confondersi con le mie immagini interiori, lei mi disse, e non avrei mai conosciuto il mio vero Io. Io ero il libro e il testo era dentro di me.
Chi era Colette? I miei occhi mi dicevano che era una grande dame. Lo capivo dalla sua postura e dai suoi modi regali, come anche dalla sua grazia e dalle attenzioni per gli altri che mi ricordavano le mie prozie e i miei prozii. Dalla Guerra dei sei giorni nel 1967, Colette non ha mai, neanche per un giorno, lasciato la sua casa, né abbandonato la sua via, per essere sempre a disposizione di chi ne avesse avuto bisogno.
Colette era per me una potente calamita, materna e terrificante allo stesso tempo. In sua presenza mi sentivo completamente nuda ed esposta. Ne ero affascinata e profondamente innamorata. Colette mi diede i vestiti di sua figlia, che era venuta a mancare, e mi accolse nel suo cuore e nella sua vita. Ben presto venni a sapere che Colette proveniva da un’antica e celebre fa-miglia ebrea di medici di Algeri. Suo padre, un neurochirurgo noto in tutta l’Africa del Nord, era stato soprannominato dagli Arabi “le grand Marabou” (il grande uomo santo). Colette aveva lavorato come assistente personale di suo padre per quattordici anni durante i quali egli le aveva insegnato ad osservare i pazienti e a diagnosticare i loro disturbi. Non è mai successo, negli anni trascorsi con lei, che Colette abbia formulato una diagnosi sbagliata.
Prima di dedicare la vita alle persone che avevano bisogno del suo aiuto, Colette era stata una ballerina, una musicista e una scultrice. In seguito, aveva studiato a Parigi con il Dott. Desoille che aveva sviluppato la tecnica del reve éveillé dirigé (“La terapia del sogno da svegli guidato”). In seguito, dopo aver ottenuto una laurea in psicologia, Colette aveva lavorato nel re-parto psichiatrico dell’ospedale di Algeri.
Poiché reputava limitate le tecniche di Desoille, Colette sviluppò dei metodi incentrati su pratiche di visualizzazione ancestrali, trasmessi dalla sua famiglia nonché elaborati dal suo genio creativo, mettendo infine a punto il potente e coerente sistema onnicomprensivo che descriverò in questo libro.

Colette aveva nobili origini, sia per linea materna che paterna, e discendeva da un’antica stirpe di Sefarditi cabalisti, potendo vantare, tra i suoi di-retti antenati, il Rabbino Isacco il Cieco dalla Provenza, il primo cabalista medievale di cui vi è traccia nella letteratura, e Jacob ben Sheshet, uno dei protagonisti del circolo cabalistico di Gerona e seguace di Isacco il Cieco, entrambi principalmente noti per la loro audace esplorazione dei misteri attraverso esercizi mistici, le cui origini risalgono probabilmente alla Kabbalah della Merkavà.
Questa forma di Kabbalah, la più antica, di cui troviamo traccia nei testi midrascici e talmudici, nonché nella letteratura che tratta dei Heikhalot e della Merkavà e nei numerosi manoscritti apocrifi, come il Libro di Enoch in ebraico, era praticata nel primo e secondo secolo sia dai cittadini comuni, che dai saggi dell’era talmudica, tra i quali Rabbi Akiba, il più eminente studioso del tempo. Il compito di chi la praticava era quello di visualizzare l’ascensione attraverso le sfere celesti, spesso raffigurate come palazzi diversi (gli Heikhalot), fino al Cocchio-Trono (Merkavà) dal quale il discepolo che riusciva a raggiungere questo stadio, “vedeva” l’immagine del Signore (a volte chiamato il Kavod) in alto, una figura dalle sembianze umane” (Ezechiele 1,26).
Nei loro testi, i cabalisti descrivono un’ininterrotta catena di trasmissione (ad esempio, lo Zohar, il più influente di tutti i testi cabalistici, è stato attribuito dal suo autore, Mosè de Leon, al saggio del secondo secolo, Simeon Bar Yochai), risalente ai tempi talmudici e biblici. La Bibbia ebraica è certamente ricca di rivelazioni – a partire dalle visioni dei profeti come Ezechiele, Elia e Enoch, ai sogni dei patriarchi Abramo, Giacobbe e Giuseppe, e alle visioni di Mosè, Samuele, o Giona. Dalla lettura del testo biblico è evidente che la forma prevalente di comunicazione con il Divino siano state le visioni.
Quindi, in linea con le pratiche dei propri antenati, il lavoro di Colette è empirico. Alcuni esercizi si basano sul testo, ma, a differenza di altri metodi cabalistici, il suo metodo non implica lo studio diretto o l’analisi del testo, non si analizzano le possibili permutazioni delle lettere (tecnica nota come “Gematria”), né si studia “L’Albero della Vita” con le sue dieci sfere energetiche.
Il lavoro di Colette è pura Kabbalah; kabbalah significa“ricevere”, nel senso che si “riceve” dal proprio sguardo interiore. Pertanto, il suo genere di Kabbalah non è un mistero, un sapere di difficile accesso, ma una ricerca del campo delle immagini la cui lingua è comune agli uomini di ogni confessione.

Non ero ebrea quando ho incontrato Colette e lei non mi ha mai parlato dell’ebraismo. Soltanto dopo che le immagini mi suggerirono di dare uno sguardo all’ebraismo, lei mi mostrò alcuni testi cabalistici. Ciò che ho letto in questi libri confermava tutto quello che avevo scoperto dentro di me con la pratica della visualizzazione. A quel punto mi sono convertita all’ebraismo perché, chiaramente, ero un’ebrea. Altri studenti hanno scoperto di essere buddisti o sufiti o cristiani. Le nostre anime si sono espresse attraverso le nostre immagini e siamo stati guidati verso i nostri veri destini.
La Kabbalah ebraica viene tradizionalmente trasmessa soltanto agli uomini. Tuttavia, come succede a volte nelle famiglie sefardite, nella famiglia di Colette anche le donne erano state incoraggiate allo studio, al coinvolgi-mento e ad una partecipazione attiva; tra gli antenati illustri di Colette troviamo Dona Gracia Mendoza, la più grande figura ebraica femminile del Rinascimento; in tempi più recenti, la nonna di Colette era stata una illustre maestra di Kabbalah, che era solita ospitare nel suo giardino i rabbini e gli uomini importanti di Algeri per pomeriggi di brillanti e calorose discussioni.
Colette era giovanissima quando ricevette da suo nonno, attraverso l’imposizione delle mani, la benedizione della famiglia per applicare gli insegnamenti della loro discendenza. Aveva tre nèi distinti (sul terzo occhio, sul palmo della mano sinistra e sul cuore) che, secondo la tradizione familiare, erano segni fisici ad indicare che era nata per salvare gli ebrei e il mondo.
Infatti, insieme al fratello adolescente José Aboulker, Colette organizzò il movimento di resistenza nell’Africa settentrionale, il che portò allo sbarco delle truppe americane nei pressi di Algeri e contribuì in seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Colette è stata la “Voce della Libertà” alla Radio Algerina durante la guerra. È stata un eroe di guerra decorato; la sua vita è descritta nei libri di storia dell’epoca.
Colette divenne in seguito presidente della WIZO (Women’s International Zionist Organization – Organizzazione Femminile Sionista Internazionale) nell’Africa del Nord. Tutti la cercavano – ebrei, musulmani e cristiani – ed è stata nominata esorcista ufficiale della Chiesa Cattolica. I Rosacroce le hanno conferito la Medaglia d’Onore che soltanto quattro donne, tra le qua-li Eleanor Roosevelt, avevano ricevuto prima di lei.
Insieme al marito, Arie Moscato, shaliach (ambasciatore dello Stato di Israele in giro per il mondo) e, successivamente, controllore di stato per la città di Gerusalemme, Colette ha lavorato diligentemente per la causa di I-sraele. Ogni sabato sera Arie apriva le porte della loro casa di Gerusalemme per accogliere i loro ospiti e festeggiare insieme la fine dello Shabbat.
Le persone arrivavano da tutto il mondo per stare con Colette e per ricevere i suoi insegnamenti. Verso la fine della sua vita, considerava il suo lavoro con i malati terminali una priorità. Molti di loro, dopo aver messo in pratica ed eseguito i suoi esercizi, sono ancora oggi tra noi. In occasione del giubileo dei tremila anni che celebrava il regno di Re Davide, la città di Gerusalemme ha onorato i suoi straordinari contributi e risultati conferendole la prestigiosa Medaglia dell’Amato.
Questi sono soltanto gli elementi essenziali della vita di Colette. Ci vorrebbe un libro per raccontarvi tutto ciò che lei ha realizzato nel corso della sua vita. Ha cambiato la mia vita, innanzitutto, come lo fece per altre innumerevoli persone. Lei diceva che noi, i suoi studenti, eravamo le sue vere medaglie.
Non passò molto tempo prima che Colette iniziasse a mandarmi in giro come sua ambasciatrice per portare i suoi esercizi e parole di conforto ai ma-lati, ai soldati feriti e ai malati mentali negli ospedali di Gerusalemme. Su un piccolo foglio di carta mi scriveva gli esercizi, un’idea, oppure le indicazioni iniziali. Ben presto, con la sua benedizione, ho cominciato a insegnare una forma di fisioterapia basata sullo studio del movimento tratto dalle storie ebraiche bibliche. Per venire incontro alle esigenze dei miei studenti, ho sviluppato le immagini per ogni forma di difficoltà o disturbo fisiologico.
Poco importava se ero seduta nel giardino di Colette oppure mi facevo in quattro per servire la comunità – in ogni caso, ero sbocciata e mi stavo evol-vendo. Avevo trovato il mio giardino dell’Eden dentro e fuori di me.
Colette mi disse una volta: “Cammina davanti a me, devi diventare più grande di me!”.
Chi può misurarsi con tale generosità?

All’amata Colette dedico questo libro. Lei è mia madre e io sono sua figlia. Siamo per sempre unite nello Spirito. Lei mi ha insegnato a fidarmi di ciò che sapevo già e mi ha insegnato molto altro, che in parte leggerete nelle pagine di questo libro.
Colette amava raccontare storie sui suoi antenati. Queste storie sono pa-rabole e fonte d’ispirazione per i suoi studenti sparsi per il mondo, “numero-si come granelli di sabbia e stelle celesti”. Quando si tratta di un grande ma-estro, sono convinta che, dietro ogni sua allieva o suo allievo diretto, ci sia-no migliaia di altri studenti che lei consiglia nel sogno.
Per me, la parte più stupefacente di questa storia è che Colette sia la realizzazione del mio sogno!
Più tardi sono emersi altri dettagli che hanno soltanto rafforzato il nostro legame. La casa di famiglia di Colette ad Orano, in Algeria, dove è cresciuta in un periodo della sua infanzia, era di fronte alla casa di mia madre! Colette ha frequentato la stessa scuola di mia mamma e delle mie zie, le conosceva tutte.
E come si può spiegare il fatto che io assomigli moltissimo a qualcuno della famiglia di Colette? Un gene trasferito nel sogno deve essere saltato dalla casa di Colette nel grembo di mia madre. I viaggi seguono una spirale e tornano alle origini, con qualcosa che si aggiunge ad ogni giro. Il sogno è spesso più misterioso di quanto si possa sognare!

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